sabato 22 aprile, lezione alla Palestra Hangar32, i ragazzi corrono sui tapis roulant, muovono pesi, lavorano davanti agli schermi che trasmettono musica e notizie. Io mi muovo qua e là controllando in particolare chi solleva i bilancieri, ad un certo momento la mia attenzione è catturata da un' ultima notizia che scorre sui monitor "E' morto il ciclista Michele Scarponi".
Penso a Manu, mio figlio, che è negli Stati Uniti, tifoso di ciclismo; là è notte, poi non voglio essere io a dargli questa notizia. Mi ricordo ancora la mattina del 5 giugno 1999, mentre lo aspetto davanti alla scuola, il suo ultimo giorno di elementari.....
Lo impara lo stesso, come prima notizia, queste le sue righe
La fatica non manca, fa parte del gioco, ma nonostante il peso del mezzo, nessuna collina è ancora riuscita a piegarmi. E per quanto solitaria sia l’avventura, c’è sempre qualche incontro a ravvivare la giornata: qualche raro collega, anche lui all’avventura, gli operosi residenti al lavoro nei campi o in giardino, gli automobilisti che salutano con un cenno del capo, o semplicemente uno scoiattolo che fugge dalla strada per mettersi al sicuro sul ciglio. E nulla si può dire sulla cordialità del popolo americano: di quelli che mi hanno visto piombare nella loro proprietà, o fermarsi davanti a casa per chiedere un’informazione, nessuno (finora) mi ha preso a fucilate. Perfino una coppia di probabili Trumpiani, trovati in una fattoria dimenticata da Dio, mi ha cordialmente indicato la retta via, seppure con un accento quasi inaccessibile.
Miracoli della bicicletta. Peccato che arrivi, prima o poi, il momento in cui un camion o un fuoristrada ti sfreccino accanto, ricordandoti quale sia l’altra faccia della medaglia. D’altronde, la maggior parte degli automobilisti americani forse considera i ciclisti una sorta di bestia rara. E allora, se mai l’avessimo dimenticato, in un attimo torna in mente quale sia la condizione di un ciclista, appeso a una ruota sottile, a un equilibrio precario, a un battito d’ali. Impegnato in un continuo dondolarsi, correre, scivolare, aggrapparsi a quella meravigliosa ragnatela che si chiama vita, pronta a spezzarsi da un momento all’altro. Come tutti i comuni mortali, solo su un filo più leggero e sottile. Che in giorni come oggi sembra ancora più fragile. Ciao, Michele Scarponi. Guardaci pedalare da lassù!
(sì lo so, è molto più bravo di me a scrivere, veramente anche in bici).
Voglio riportare anche la lettera di Davide Cassani, il Commissario Tecnico della Nazionale Italiana di ciclismo, ma soprattutto una grande persona, oltre che, ai suoi tempi, un bravo corridore.
"Ieri. Non una vita fa, non anni, neanche mesi. Un giorno. È passato un giorno, anzi meno, 21 ore. Sono al Tour of the Alps con la nazionale. Ho l'ammiraglia numero 8, davanti a me i tedeschi della Bora e dietro l'Androni. La fuga ha preso il largo e, come spesso accade, il gruppo rallenta e diversi corridori si fermano a bordo strada. Ho il finestrino abbassato anche perché, finalmente, la temperatura ha ripreso a rialzarsi dopo qualche giorno di freddo quasi invernale. Assorto nei miei pensieri, attento alle comunicazioni di radio corsa, sento una mano attaccarsi alla portiera della mia macchina. Giro lo sguardo ma prima di avere il tempo di aprire bocca per salutarlo mi incalza: "Allora Cassa, ma quanto devo correre ancora?" La mia risposta è immediata: "Ascoltami Scarpa, il prossimo anno, a Innsbruck abbiamo un Mondiale durissimo, ho bisogno di un corridore come te. Almeno almeno devi correre fino al prossimo anno, poi decidi tu. Ok?" Michele mi risponde con un sorriso, ed è normale perché lui, il sorriso, ce l'ha stampato sul viso. Anzi no, lui ci prova a fare il serio ma non ci riesce. Lo dice sempre. Sono 300 metri che è attaccato alla mia ammiraglia, ha voglia di parlare, è felice. Ha molti motivi per esserlo. Il primo? Ha vinto una corsa dopo 4 anni di digiuno, da quel giorno di settembre del 2013 quando, già convocato da Ballerini per il Mondiale di Firenze, si impose al GP Costa degli Etruschi a Donoratico.
Il secondo? Avere dedicato la vittoria ai suoi due bambini, Giacomo e Tommaso. Hanno 5 anni i suoi due gemellini ed essendo nati nel 2012 non avevano mai visto il loro papà vincere una corsa. Li adorava. Il terzo? Un Giro d'Italia alle porte, da correre nelle ritrovate vesti di capitano per merito di un Fabio Aru, costretto a restare a casa per colpa di una brutta caduta. E di motivi, Michele, per essere felice ne avrà sicuramente tanti altri perché è ottimismo fatta persona.
E come corridore? Esemplare. Ho detto di questo periodo senza vittorie ma non perché Michele fosse calato, ma per il semplice fatto che dal 2014 ha cominciato a lavorare per gli altri. Risoul 2016, penultima tappa alpina del Giro d' Italia. Michele è in fuga con il belga Monfort. Cosa fa? Si ferma. Mette piede a terra per aspettare il suo capitano che nel frattempo ha staccato quasi tutti gli avversari più diretti, a cominciare dalla maglia rosa Kruijswijk (caduto) e Valverde. È proprio il lavoro di Scarponi che permette al siciliano di avvicinarsi alla maglia rosa che verrà conquistata il giorno dopo, sempre grazie ad un Michele straordinario. Io ci provo ma non riesco a scrivere al passato. Vorrei tornare indietro di qualche ora, magari allungare di un giorno il Tour of the Alps o nascondere la bicicletta a Michele in modo che non esca questa mattina in bici. Ma non posso. Da questa mattina quando parlerò di Michele dovrò usare il passato, ma ogni volta che penserò a lui lo vedrò li, di fianco alla mia ammiraglia, a chiedermi per quarto tempo dovrà correre ancora".
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la sua ultima vittoria - 17 aprile 2017 - Tour of the Alps
Il post-scriptum è doverosamente dedicato ad Alejandro Valverde, un ciclista da me e Manu spesso criticato per le sue condotte di gara opportuniste, ma che oggi ha voluto ricordare Michele dedicandogli la sua quarta "Doyenne" la Liegi-Bastogne-Liegi, e devolvendo alla famiglia di Scarponi i premi dell'odierna vittoria, "chapeau" Alejandro!
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